Editoriale

Brand journalism

La comunicazione d’impresa, nel suo insieme, sta sollecitando l’esigenza di intraprendere nuovi percorsi e di coniare -quindi- nuovi strumenti per il consolidamento dei bisogni strategici, particolarmente quando questi -negli scenari imposti dall’attualità- incidono in misura marcata sui valori d’identità, d’immagine e, soprattutto, di reputazione. 

Ciò avviene, in massima parte, in un’ottica di adeguamento ai nuovi linguaggi e alle nuove tecniche di diffusione delle informazioni e di collegamento interpersonale. Non si tratta di rivedere drasticamente i paradigmi tradizionali della comunicazione, bensì di “elasticizzare” -rendendoli diversamente spendibili- i messaggi maggiormente utilizzati nelle singole aree tematiche.

E allora, anche lo strumento della narrazione, sia quando fa riferimento agli individui, sia quando riguarda un brand, sarà chiamato a dimostrare una flessibilità giustamente produttrice di ulteriori leve/opportunità comunicative.

Il brand journalism è, a pieno titolo, una delle articolazioni più suggestive di questa nouvelle vague.

Letteralmente “giornalismo d’impresa”, questa disciplina si sta affermando per la peculiarità dei suoi elementi. Tutti proficui, se utilizzati tradizionalmente in chiave singola, ma altrettanto vincenti e innovativi quando sono assemblati.

In sostanza, il brand journalism è l’arte di comunicare, in forma giornalistica, una realtà (aziendale e non) attraverso l’elaborazione di contenuti tematicamente rispettosi della propria mission. Con l’obiettivo di trasferire, in chi legge, conoscenza, informazione, valori, e senza mai scadere in messaggi “parziali”, che andrebbero a presentare il prodotto finale nella veste di “articolo di favore”.

Quindi, il fine è, e sarà sempre, la diffusione di issues sensibili, concentrandosi su un risultato informativo “ad ampio respiro”.

Ad esempio, un’impresa operante nel settore energetico, e che ha deciso di dotarsi di questo strumento di comunicazione, si premurerà di elaborare una strategia editoriale dedita alla trattazione di temi di interesse pubblico, che siano in relazione “organica” con l’area di riferimento (es. politica ambientale, sostenibilità, sbocchi professionali nel settore, ecc….). Strategia che, in una condotta narrativa caratterizzata anche da efficaci dinamiche subliminali, veicolerà inevitabilmente il focus sulla propria mission.

L’impresa in questione andrebbe, così, ad arricchire il suo profilo, rendendolo certamente più “caldo” e più duttile, in un contesto collettivo che non può non far sperare in una nuova e più convincente valutazionedegli aspettireputazionali.

Scopi (e vantaggi) di questa formula, per la struttura che si racconta, sono quindi:

  • un prevedibile rafforzamento della brand awareness, ovvero della conoscenza che già si ha dell’impresa e dei suoi asset intangibili. Ma anche della brand equity, poiché l’enfatizzazione dei valori identitari (compresi, ovviamente, i risultati derivanti dalle best practices adottate) non può che farne aumentare il rilievo sia sociale sia economico;
  • una capacità più diretta e confidenziale di generare news relativamente al settore in cui si opera;
  • un posizionamento più importante, tendente a configurare l’impresa come opinion leader grazie alle azioni di condivisione dei contenuti. Contribuendo a farle conquistare un profilo di media company, che così potrà liberamente adottare tutte le dinamiche metodologiche proprie dell’informazione e del marketing.
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