di Marco Astore
Il conflitto tra Russia e Ucraina ha complicato ulteriormente la situazione legata alle materie prime, sollecitando ancora di più i mercati, che lentamente si erano ripresi dopo la pandemia.
Secondo quanto stimato dal centro studi Assolombarda sul caro materie prime, tra febbraio 2020 e febbraio 2022, si è registrato un aumento sul prezzo del gas del 579%.
“Il caro energia comporta un aumento dei costi di produzione del 25-30%”, come riporta Simone Baratta, direttore della Prestige perfumes and cosmetics business unit di Bormioli Luigi.
Ma non solo il settore della cosmetica è a rischio, tutte le filiere sono esposte a questi rincari, a cui si aggiungono anche gli aumenti delle materie prime. Per esempio, nel settore dell’agroalimentare si nota un aumento del 48% sul frumento e del 16% sul mais.
In crisi sono anche le aziende metalmeccaniche, in quanto nichel (+40%), alluminio (+15%) e acciaio (+17%) sono oltre ad essere sempre di più difficile reperibilità, in forte aumento per quanto concerne il prezzo.
Le ragioni di tali rincari sono riconducibili a diversi fattori: congiunturali, strutturali, geopolitici, speculativi. Tra i fattori congiunturali, rientra lo squilibrio che si è avuto nella primavera del 2020 tra domanda e offerta, in quanto un forte aumento della domanda non è stato corrisposto da un’adeguata offerta.
A questo bisogna aggiungere i tagli della produzione applicati dall’OPEC+, che ha concordato una riduzione sulla produzione di petrolio su scala globale. Senza contare gli eventi climatici che hanno causato danni alla produzione di alimenti come la soia, l’olio di palma e il mais.
Tutto questo ha creato dei colli di bottiglia sull’intera supply chain, portando a notevoli ritardi sugli approvvigionamenti di materie prime e ad un aumento dei costi.
Per quanto concerne i fattori strutturali, ritroviamo gli importanti aumenti di domanda di metalli indispensabili per sostenere lo sviluppo tecnologico, tra cui le “tecnologie verdi”.
Infatti, esse necessitano di materiali come il rame, il nickel, il litio, il cobalto o il manganese. Specialmente per il litio, dove secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), i livelli di consumo del litio nel 2030 subiranno un incremento pari a 26 volte rispetto al 2010. Si stima dunque una maggiore richiesta di queste materie prime, corrisposte ad un aumento di prezzo.
La fornitura di alcune materie prime è poi concentrata nelle mani di pochi attori sul piano geopolitico, che giocano un ruolo rilevante nella carenza e nell’aumento di costo dei materiali. Soprattutto in futuro, possono rappresentare un importante fattore di rischio, in particolare per quelle materie critiche indispensabili nel processo di transizione energetica e per costruire batterie, semiconduttori, celle fotovoltaiche, per realizzare leghe leggere utilizzate nei settori automobilistico, dell’elettronica, dell’aeronautica, degli imballaggi, dell’edilizia.
Basti pensare all’ultima lista stilata da Bruxelles, sulle 30 materie critiche richieste in Europa, solo il 20% viene prodotto da paesi facenti parte dell’UE. Questo comporta una forte dipendenza da Paesi terzi in termini di approvvigionamento. Ad oggi, infatti, la Cina è il principale esportatore di materie tecniche verso l’UE, rendendo quest’ultima parecchio vulnerabile nei confronti di possibili scelte strategiche sulla politica riguardante l’export da Pechino.
Specialmente per quanto riguarda il magnesio, nell’ultimo periodo, la Cina ha ridotto fortemente la sua produzione, ricadendo sul settore dell’automotive, in quanto l’Europa importa per il 95% dalla Cina.
Ma tra i fattori ritroviamo anche quelli speculativi, infatti molte materie prime, tra cui il petrolio, svolgono la funzione di asset finanziario, sui quali si sono registrate negli ultimi mesi forti oscillazioni sui prezzi.
Da quanto si evince tra i fattori della crisi, risulta indispensabile per mitigare i rischi della Supply Chain dell’UE, rafforzare l’autonomia, privilegiando le “filiere corte” e garantendo un approvvigionamento sicuro e sostenibile.
Come riporta Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, questa situazione è difficile da gestire ormai da anni, peggiorata con la pandemia e adesso con le tensioni e il conflitto russo-ucraino, sarebbe quindi una buona occasione per rilocalizzare i processi produttivi e accorciare le filiere, anche per accelerare la conversione verso il Green Deal.
Quello che sta succedendo deve spingere le aziende a cambiare modello produttivo, ed anche con urgenza per poter affrontare le sfide dei prossimi anni.
Solo per la produzione di batterie per le auto elettriche, il fabbisogno di litio potrebbe essere fino a 18 volte superiore entro il 2030 e 60 volte entro il 2050.
Infatti, se consideriamo gli attuali tassi di produzione, il volume di offerta riesce a coprire solo un terzo della domanda, per quanto concerne i metalli fondamentali quali nichel, grafite e cobalto.
Questo provocherà un ulteriore aumento sui prezzi della materia prima, ritardando la transizione energetica, poiché rappresentano commodities importanti sotto questo punto di vista.
Oltre a portare in casa parte dei processi produttivi, occorre investire in ricerca e sviluppo per poter innovare la produzione, ma anche diversificare le fonti di approvvigionamento.
Infine, risulta fondamentale utilizzare le risorse in modo più sostenibile ed incentivare il riciclo delle materie prime, che consente di implementare un modello basato sull’economia circolare.
Sebbene la filosofia Lean Manufacturing sia in grado di portare notevoli vantaggi in termini di efficienza e flessibilità, in periodi come questo, se non si unisce a una grande resilienza non è sufficiente.
Per essere resilienti, è necessario digitalizzare i processi produttivi dell’azienda, questo risulta fondamentale in quanto permette di monitorare l’andamento della produzione e della domanda nel tempo, con molta più flessibilità.
Avere una visibilità digitale, consente ai direttori degli stabilimenti, in tempo reale, di poter comprendere di quanti pezzi e materiali vengono richiesti dagli operatori, che cosa stanno producendo, e poter osservare l’andamento delle catene di approvvigionamento.
Questo senza rinunciare ai principi della Lean Manufacturing, che permettono alle aziende di concentrarsi solo su processi a valore aggiunto, eliminando il superfluo, producendo solo quanto richiesto dal mercato, eliminando la sovrapproduzione.
Le metodologie Lean, tradizionalmente prive di sistemi digitali, oggi devono integrare soluzioni per l’industria 4.0, quali robotica e tecnologie digitali, per poter garantire da un lato l’efficienza ma dall’altro la resilienza della Supply Chain.
Tutto questo però, sempre secondo un approccio Lean, utilizzando le tecnologie come supporto per gli operatori, liberandoli da attività a basso valore aggiunto, consentendo loro di concentrarsi su iniziative, che sono, invece, fondamentali per il miglioramento continuo dell’azienda.
In accordo con la filosofia Lean, il cambiamento verso l’industria 4.0 va quindi ben gestito, includendo le persone nella trasformazione digitale dell’azienda, tenendo sempre a mente il ruolo centrale che ricoprono per il successo delle aziende.
Conclusioni
Come abbiamo visto, la situazione attuale presenta molte difficoltà, ma le soluzioni esistono e molte aziende stanno iniziando a cercare delle alternative di fornitura in Italia, oppure avvicinando i fornitori alle fabbriche.
Alla base di una buona logistica rimane sempre un buon magazzino, efficiente, flessibile, ma anche resiliente, con approvvigionamenti diversificati e una gestione analitica delle scorte.
Le scorte mettono in relazione acquisti e vendite, che sono attività legate fortemente all’imprevedibilità del mercato, in quanto da come si evince esistono diversi fattori che mettono a forte rischio gli approvvigionamenti.
Un’azienda deve quindi intervenire sulla propria organizzazione interna, migliorando innanzitutto la gestione delle scorte, attraverso le tecniche derivanti dalla Lean Manufacturing e dalle nuove soluzioni dell’Industria 4.0.
Per concludere: «Fino a due anni fa pensavamo che un paese non potesse fermarsi e che i trasporti fossero una commodity. Abbiamo scoperto, in entrambi i casi, che non è più così». Lodovico Bussolati, ad di Sdf, big mondiale della meccanizzazione agricola, che tra le tante complessità che negli ultimi tempi ha dovuto gestire, si trova ad affrontare ora anche quello della supply chain. «Noi – spiega – abbiamo ad esempio siti produttivi in India e Turchia, impianti che in passato venivano riforniti di componenti in arrivo da altri paesi, Italia inclusa. Ora cerchiamo di rendere ogni stabilimento un poco più autonomo, e lo stesso sta accadendo qui in Europa: forse la globalizzazione non è morta ma certamente gli schemi di gioco vanno rivisti».
* Marco Astore si è laureato presso SAA-School of Management, attualmente si occupa dell’area marketing di BG Log, azienda specializzata nella fornitura di soluzioni per l’intralogistica e per il material handling. In questo articolo affronta il tema dell’aumento dei prezzi delle materie prime e sulle problematiche attuali della Supply Chain.
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