Idee per far crescere vendite e prezzi del pecorino romano dop e degli altri prodotti della filiera ovina.
Vorrei fare qualche riflessione sulla filiera dei prodotti della pecora sarda per contribuire ad andare oltre l’emergenza di questi giorni, per aiutare a valorizzare i nostri prodotti tradizionali e soprattutto un sistema di allevamenti che permette di conservare il paesaggio e il territorio della Sardegna, del Nord del Lazio e della provincia di Grosseto.
Attualmente la situazione è quella della tempesta perfetta: surplus di produzione di latte e conseguentemente di formaggio e calo dei prezzi con ripercussioni negative su tutta la filiera. Non si è riusciti a controllare una crescita importante delle vendite, essenzialmente sul mercato estero, protrattasi fino al 2017, seguita successivamente da una riduzione repentina delle vendite, soprattutto del mercato Usa nel 2018. Oggi i prezzi del prodotto finale sono in calo con ripercussioni su tutta la filiera e soprattutto sul prezzo del latte ovino che sotto l’euro non è più remunerativo per i pastori che rimangono la parte più debole della filiera, operando con i margini più bassi e nelle condizioni più disagiate. Nell’immediato solo coop, intervenendo sui propri prodotti a marchio, sta dando un aiuto concreto agli allevatori ma non è certo sufficiente.
In questi giorni si stanno cercando soluzioni per superare l’emergenza ma forse è proprio questo il momento per un progetto di rilancio che coinvolga tutti gli attori della filiera e tutti i prodotti.
Innanzitutto è indispensabile mantenere alta la qualità dei prodotti ed il loro forte legame con il territorio. Quindi è necessario uno sforzo maggiore nella valorizzazione di dop e igp entrambi sinonimo di qualità (pecorino romano dop, fiore sardo dop, ricotta romana dop, abbacchio romano igp). Da alcuni territori arrivano spinte per una maggiore caratterizzazione territoriale come ad esempio nel caso del pecorino romano di provenienza laziale. Non disdegnerei questa scelta perché i prodotti vanno raccontati e l’allevamento della pecora nella campagna romana, anche se non proprio la pecora sarda, risale a tempi antichissimi e l’agro romano è sinonimo da sempre di pascoli e pastori.
Sul mercato nazionale ancora i consumi sono stabili ma ci sono tutte le condizioni perché possano crescere. All’estero come in Italia sta cambiando anche la funzione del pecorino romano, che, da semplice formaggio destinato principalmente a un utilizzo industriale da addizionare ad altre tipologie per la creazione di miscele, si sta progressivamente indirizzando verso la specialità, qualificandosi con una propria identità come formaggio da grattugia, da tavola e come ingrediente caratterizzante nella preparazione di piatti tipici. Il pecorino romano è la base di piatti importanti della tradizione italiana dal cacio e pepe alla gricia o all’amatriciana. Inoltre il pecorino romano dop è naturalmente privo di lattosio e nell’era delle intolleranze costituisce un valore aggiunto ancora poco conosciuto. Pertanto le condizioni per un successo duraturo ci sono tutte.
All’estero pecorino e fiore sardo sono formaggi di successo, presentano valori dell’esportazione superiori a 130 milioni di euro annui anche se la maggior parte delle esportazioni (60 %) sono dirette verso gli Usa, pertanto c’è bisogno di una strategia che faccia aumentare l’export anche in altre direzioni, come fare ?
Innanzitutto, come per tutti i prodotti della tradizione agroalimentare italiana, dovremmo essere in grado di raccontare la loro storia, le terre di origine, la filiera e l’Italia quale paese del buon vivere e del buon mangiare. Purtroppo i primi a non volerci bene spesso siamo noi che stiamo cambiando il nostro stile alimentare allontanandoci dalla tradizione. Il pecorino non è esportato dai grandi player dell’agroalimentare italiano, si tratta invece di aziende medio grandi e con risorse limitate da destinare alla promozione. Inoltre ognuna di queste aziende racconta se stessa ed i propri prodotti, pertanto devono intervenire lo Stato e le regioni per fare la loro parte. Innanzitutto sarebbe necessario dotarsi di una strategia unica commerciale e di marketing, cosa che attualmente manca. La gestione delle attività commerciali per l’export dovrebbe essere sviluppata in sinergia dalle aziende produttrici e da esperti di marketing. E’ necessario conoscere prodotti e mercati definendo nel dettaglio le azioni da svolgere in questi ultimi, valorizzando il prodotto e la sua storia secondo le abitudini e i consumi locali. Attualmente la regia tecnica dell’export è in mano ad una struttura pubblica cioè l’ICE. Ritengo che questo ente abbia avuto in passato un ruolo meritorio per le nostre esportazioni ma che oramai abbia fatto il suo tempo. Attualmente per affrontare il mercato globale ci vorrebbe una struttura più dinamica che sappia fare businness, qualcosa che nel nostro paese non esiste ma che il settore pubblico deve aiutare a far crescere. Le istituzioni, anche se dotate di personale ben preparato, non sono in grado di sviluppare businness non ci sono le competenze e neanche l’efficacia necessaria.
A livello produttivo bisogna far crescere le cooperative di allevatori perché solo in questo modo i pastori possono controllare la filiera e quindi il prezzo del latte anche se le stesse cooperative devono far molto meglio di oggi il mestiere di produttori e di commercianti che non sono proprio i loro e i limiti emergono chiaramente. Inoltre, attraverso accordi imprenditoriali, è necessario razionalizzare la produzione, diminuendo il numero dei caseifici attraverso fusioni e integrazioni, la collaborazione rafforzerebbe tutta la filiera.
Tutelare il pecorino romano dop e dei prodotti di qualità della filiera della pecora sarda significa anche salvaguardare il territorio e le tradizioni italiane. Ritengo che questa sia l’unica arma che ha il nostro paese per emergere nella competizione mondiale. Non chiudiamo i porti ma portiamo nel modo le nostre tradizioni.
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