Marketing

Il marketing olfattivo: strumento insolito nelle mani dei marketers

di Claudia Serpertino

La sensorialità e il marketing sono mondi che frequentemente si intrecciano per costruire una virtuosità spesso abusata o banalizzata: l’esperienza, o “experience”.

Nella comunicazione, in particolare in quella social, troppo spesso si utilizza il termine esperienziale, trasformando così in vere e proprie experience le attività più disparate: l’acquisto di un servizio di piatti, un videocorso su come diventare fotogenici o un viaggio sull’Orient Express (sono le prime tre pubblicità comparse sul mio feed Instagram).

E così, ribaltando il principio di scarsità, se tutto è esperienza allora nulla è esperienza.

Ma che cos’è davvero un’esperienza?

Il dizionario Treccani la definisce come: conoscenza diretta e personalmente acquisita attraverso l’osservazione, l’uso o la pratica di una specifica sfera della realtà.

Il Devoto-Oli invece: conoscenza acquisita mediante contatto con un determinato settore della realtà.

Ciò che colpisce in queste definizioni è che entrambe fanno riferimento a un contesto che coinvolge direttamente l’individuo, associandolo a una dimensione sensoriale: la prima pone l’accento sull’osservazione, quindi sulla vista; la seconda sul contatto, quindi sul tatto.

Per fare esperienza servono i sensi, sembrano indicare i templi della lingua italiana. Ma siamo certi che ne bastino due?

I sensi guidavano già i primi ominidi che hanno popolato la Terra, permettendo loro di distinguere ciò che era sicuro da ciò che era pericoloso per la sopravvivenza, esattamente come accade oggi, con una differenza: per l’uomo delle origini, in particolare prima di raggiungere la posizione eretta, il senso prevalente non era la vista, bensì l’olfatto.

Questa evidenza può apparire bizzarra nel mondo contemporaneo, così concentrato nella ricerca costante dell’effetto wow, nel catturare l’attenzione con immagini sempre più evidenti, abbinate al movimento e magari a un suono accattivante.

L’utilizzo di questi strumenti non è certamente errato dal punto di vista del marketing e della comunicazione: vista e udito sono i sensi predominanti nell’uomo, ed è naturale rivolgersi a essi per ottenere attenzione. Ma siamo sicuri che bastino per generare un coinvolgimento tale da ricondurre a una vera esperienza?

Innanzitutto, proprio perché sono i sensi più utilizzati e più consapevolmente impiegati, vengono sovrastimolati ogni giorno. Si stima che i nostri occhi siano sottoposti a circa 7.000 immagini pubblicitarie quotidiane. Il punto cruciale, però, è quanto riusciamo a ricordare di ciò che abbiamo visto: uno studio di alcuni anni fa parla del 7%. Con la progressiva riduzione dei livelli di attenzione, temo che oggi sia un dato da arrotondare per difetto.

In secondo luogo, quando parliamo di esperienza, intendiamo qualcosa che coinvolge e rapisce completamente. Ecco perché è fondamentale considerare anche gli altri sensi.

Se intendiamo l’esperienza come processo multidimensionale di acquisizione e sedimentazione di conoscenze, non possiamo limitarla alla sola stimolazione visiva e uditiva. I cosiddetti sensi minori – tatto, gusto e olfatto – svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione di memorie durature e nel consolidamento delle associazioni emotive. Il gusto e il tatto contribuiscono alla percezione della qualità e all’elaborazione affettiva di un’esperienza, attivando meccanismi di riconoscimento e giudizio impliciti, difficilmente replicabili attraverso altri canali. L’olfatto, invece, ha un ruolo chiave nell’attivazione delle emozioni e nella sedimentazione dei ricordi. Ne consegue che un approccio esperienziale realmente efficace non può prescindere dall’integrazione di queste dimensioni sensoriali meno sfruttate, le quali – proprio in virtù della loro sottoutilizzazione nella comunicazione contemporanea – risultano ancora più potenti nel differenziare un’esperienza e nel determinarne la capacità di imprimersi nella memoria a lungo termine.

L’olfatto: da senso negletto a medium strategico

Proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto, di grande rilievo per chi si occupa di comunicazione, è necessario un approfondimento sul senso dell’olfatto.

L’olfatto è la Cenerentola dei sensi. Basti pensare che in uno studio è stato chiesto a un gruppo di studenti a quale senso avrebbero rinunciato, se costretti: senza sorprese, nella maggior parte dei casi hanno risposto l’olfatto. Ancora più eclatante è uno studio recente che ha coinvolto ragazzi tra i 16 e i 23 anni, chiedendo loro se avrebbero preferito rinunciare a un device oppure a un senso e, in tal caso, a quale. Anche in questo caso l’olfatto è salito, immeritatamente, sul primo gradino del podio.

I motivi alla base di questa débâcle possono essere riassunti in un solo concetto: mancanza di consapevolezza.

Nella storia della civiltà l’olfatto – e, di conseguenza, odori e profumi – sono stati a lungo associati a mollezza d’animo e a depravazione dei costumi. Non a caso, nella cultura greca e romana fu in più occasioni addirittura proibito.

Freud vedeva nel raggiungimento della posizione eretta da parte dell’uomo l’affrancarsi dalla condizione animale, relegando l’olfatto a senso minore perché legato all’istinto e alla bestialità.

Questi giudizi, eccessivamente superficiali, hanno comportato una percezione errata del ruolo che questo senso svolge nella vita quotidiana.

In primo luogo, non è corretto dire che l’uomo, nella sua evoluzione, abbia visto atrofizzarsi l’organo olfattivo: esso è rimasto invariato nella sua funzionalità, ma è cambiato l’approccio attivo al suo utilizzo. Ciò non significa che non agisca su di noi, in particolare nei processi decisionali.

Inoltre, anche se non ne abbiamo consapevolezza, continuiamo a essere guidati e indirizzati dal nostro naso. Quando diciamo che una persona ci piace o non ci piace “a pelle”, in realtà una parte considerevole di quel giudizio deriva dall’olfatto, l’unico senso completamente chimico, che elabora costantemente molecole odorose presenti nell’aria. Non si tratta di scarsa o buona igiene personale, ma di qualcosa di più profondo, che ci indica se la persona con cui siamo entrati in contatto possa essere sinergica o meno con noi in quel preciso momento della nostra vita.

Lo si può chiamare intuito o sesto senso, ma in realtà è un processo molto semplice che il cervello attua per non sprecare troppe energie nel prendere una decisione potenzialmente cruciale: la persona che abbiamo di fronte è o non è un pericolo?

Potrebbe sembrare un discorso fuori fuoco rispetto al tema iniziale, ma non lo è. Se il naso è una guida nei processi fondamentali di sopravvivenza, lo è anche per tutte le altre decisioni, comprese quelle di acquisto.

Il concetto di marketing esperienziale si fonda su un’intuizione fondamentale: per far scegliere il proprio brand rispetto a uno simile, occorre fornire un’esperienza diversa, più coinvolgente e soprattutto emozionante. Sono infatti le emozioni ad attivare le scelte, anche in chi è profondamente convinto di essere totalmente razionale e impermeabile a influenze subconscie.

Come ha dimostrato negli anni ’90 il neuroscienziato A. Damasio, gli esseri umani non sono macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che razionalizzano. Una vera rivoluzione dal punto di vista del marketing: significa che non è necessario comunicare ogni dettaglio tecnico di un prodotto, ma è essenziale riuscire ad arrivare alle emozioni della propria audience.

Sembra un’impresa impossibile?

Certamente complessa, ma non impossibile e senza bisogno di ricorrere a immagini di cuccioli o gattini: la chiave di volta è integrare nella comunicazione aziendale anche la dimensione olfattiva.

Numerosi studi di neuroscienze cognitive e di marketing sensoriale hanno infatti dimostrato che le informazioni veicolate attraverso l’olfatto sono processate direttamente dal sistema limbico, l’area cerebrale deputata alle emozioni, e registrate dall’ippocampo, sede della memoria episodica a lungo termine. Generano così un impatto più profondo e persistente rispetto agli stimoli visivi.

Ovviamente è fondamentale – e anche in questo caso vi sono studi scientifici a supporto – che vi sia coerenza tra comunicazione olfattiva e identità aziendale, in tutte le sue dimensioni: valori, caratteristiche e unicità distintive. Il branding olfattivo deve nascere da un processo di co-creazione, non da un’imposizione. Nulla deve basarsi sulla banale domanda “cosa ti piace di più?”, ma su un percorso bottom up capace di tradurre in note olfattive il percepito di chi vive quotidianamente la realtà aziendale: lavoratori, dirigenti, proprietà, stakeholder.

In questo modo l’azienda potrà presentarsi al mondo dicendo: “questi siamo noi, ci sentite? Dentro queste molecole odorose c’è un pezzo di ognuno di noi, c’è tutto ciò che vogliamo raccontarvi su chi siamo nel profondo, oltre la superficie.”

La domanda che sorge spontanea è: perché, se è così potente, il marketing olfattivo è ancora così poco diffuso?

Oltre ai motivi già citati, incide il fatto che l’olfatto è un senso sottile, che opera spesso sotto la soglia della coscienza, e quindi non viene percepito. È inoltre un senso lento, sia nell’elaborazione dello stimolo, sia nel manifestare la sua efficacia: è più complesso misurare quanto il ricordo si sia sedimentato e quanto abbia influito sul processo decisionale. Ma è indubbio che, citando la celebre “madeleine di Proust”, non esista nulla di più potente di un odore per viaggiare nel tempo, nello spazio e nelle emozioni.

Case History: CDV&M – Club Dirigenti Vendite e Marketing della Provincia di Cuneo

Molto spesso si pensa che solo aziende operanti nella moda, nel benessere o nell’hospitality possano avere un proprio brand olfattivo. Altrettanto frequentemente si confonde il brand con il prodotto, immaginando che, per esempio, un’azienda produttrice di panettoni debba avere come brand olfattivo un profumo con sentori di canditi e uvetta.

Il brand è molto di più: si può tradurre con il concetto di marca, che racchiude l’universo valoriale, le finalità e le ragioni che costituiscono i pilastri dell’azienda e con cui essa si presenta quotidianamente al mercato.

Per questo motivo non esistono limiti: qualunque azienda, ente, associazione o persino un territorio può avviare un processo di branding che coinvolga anche l’olfatto.

Così è accaduto che il CDV&M – Club Dirigenti Vendite e Marketing della Provincia di Cuneo – nel 2022 sia stata la prima associazione a dotarsi di un proprio brand olfattivo.

Il progetto nasce dalla sinergia di tre socie:

Claudia Sepertino, consulente di marketing olfattivo e ideatrice del metodo Mindscents, che porta alla creazione di un brand olfattivo non solo gradevole, ma anche coerente e “giusto”; Anna Valesano, esperta di analisi di mercato, che ha condotto le interviste agli associati; Múses – Accademia Europea delle Essenze, con Nathalie Passerino, responsabile della produzione dell’essenza.

Il processo è partito da una prima fase di identificazione della brand personality: se il CDV&M fosse una persona, come sarebbe? Uomo o donna? Di quale età? Con quali gusti personali e a quali elementi associabile?

Il secondo step si è svolto attraverso una serie di interviste approfondite con i soci, per registrare il percepito dell’associazione, per poter elaborare un report dettagliato che è poi diventato la base per la costruzione della piramide olfattiva in grado di comunicare:

  • la prima impressione che il Club vuole lasciare in chi lo incontra (note di testa);
  • il suo carattere (note di cuore);
  • i suoi valori (note di fondo).

La fase conclusiva si è basata sulla formulazione di due proposte olfattive, tra le quali è stata scelta quella più aderente alla personalità dell’associazione.

Il progetto è stato fortemente voluto dal Presidente Paolo Silvestro, ispirato al motto del Club “persone un passo avanti”. Innovazione e sperimentazione in ambito marketing sono il faro che guida lo spirito del CDV&M, espresso in modo emblematico da questo progetto, presentato in occasione dei 35 anni del Club e racchiuso nel nome “Essenza 35”.

Oggi Essenza 35 è la fragranza che viene donata a relatori e ospiti, affinché possano costruire e mantenere il ricordo del CDV&M e delle persone che lo animano, con tutte le loro caleidoscopiche sfaccettature.

Claudia Serpertino
Consulente in Marketing e Comunicazione Olfattiva, Associata AISM
Profilo LinkedIn https://www.linkedin.com/in/claudia-sepertino/

Laureata in Scienze della Comunicazione con una tesi in Neuromarketing e Comunicazione Olfattiva.

Dopo un’esperienza ventennale nel marketing tradizionale, crea nel 2020 il suo primo brand olfattivo per un Istituto di Credito, applicando un metodo ed un protocollo volto ad individuare i messaggi da trasmettere e a tradurli in note olfattive esclusive.

Seguono altre realizzazioni che hanno consentito di ampliare la tipologia di brand rappresentati e di affinare la metodologia, tra le quali, nel 2023, il progetto realizzato per il centenario del Parco Nazionale Gran Paradiso.

Ha una formazione specifica nel mondo delle fragranze, che indaga sia a livello storico e antropologico che per quanto riguarda la fisiologia dell’olfatto e le materie prime.

Dal 2022 è coordinatrice del Dipartimento di Neuromarketing Olfattivo presso Ainem – Associazione Italiana Neuromarketing.

Dal 2024 è Vice Presidente del CDV&M – Club Dirigenti Vendite e Marketing della Provincia di Cuneo

Nel 2024 pubblica per il Centro Studi Assaggiatori il “Codice Sensoriale Profumo” e con la loro collaborazione crea la selezione olfattiva per il progetto “Aromi d’Italia” promosso dal Ministero del Turismo e Enit.

In uscita a gennaio 2026 il manuale di Hoepli “Neurodesign. Le neuroscienze applicate all’interior e al product design” con un capitolo dedicato al marketing olfattivo da lei curato.

È fondatrice e direttrice artistica di MindScents agenzia di marketing e comunicazione olfattiva.

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