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Come tutelare il credito delle Pmi italiane che operano nel Sud-est asiatico

Il Sud-est asiatico, una delle aree economicamente più strategiche del mondo, settimo per Pil e quarto per export, è fondamentale per le aziende italiane, sia per quanto riguarda l’import/export, con i prodotti di eccellenza del Belpaese, che per quelle che hanno siti produttivi in loco, scelti dai nostri imprenditori per il know-how qualificato e la manodopera a basso costo. Tuttavia, se da un lato in epoca pre-Covid 19 la bilancia commerciale era pari a 16 miliardi, con un saldo di circa 270 milioni a favore dell’Asean (Association of South East Asian Nations, l’acronimo che rappresenta il Sud-est asiatico), dall’altra parte, anche alla luce delle conseguenze economiche, sia di quelle della pandemia, che continuano ad avere effetti negativi, sia di quelle connesse alla guerra in Ucraina, a partire dall’aumento del costo dell’energia e delle materie prime,  il 20% circa delle transazioni commerciali può essere posto sotto stress, generando un volume rilevante di ritardi, contestazioni e – nell’ipotesi peggiore – mancati pagamenti.

È quanto emerge da uno studio realizzato da Invenium Legaltech, società italiana con sede a Milano specializzata nella gestione del credito, in collaborazione con IMBA (Italy Malaysia Business Association), membro delle Camere di Commercio italiane all’estero (Ccie), presente nella capitale Kuala Lumpur.

A sud della Cina e a nord dell’Australia, tra l’Oceano Indiano e quello Pacifico, i dieci paesi che  compongono l’ Asean (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore e Thailandia), esprimono la terza area più popolosa del mondo e possiedono notevoli margini di crescita: il Pil aumenta del 4/5% annuo e, alla luce anche dei cambiamenti degli equilibri geoeconomici derivanti dal conflitto bellico in Ucraina, il Sud-est asiatico avrà una posizione sempre più rilevante nella supply chain globale per posizione e competitività del sistema.

Attualmente i principali prodotti esportati dall’Italia verso l’Asean sono macchinari, componenti elettronici, pelletteria e prodotti chimici, mentre il nostro Paese importa principalmente oli e grassi vegetali e animali, altri beni alimentari, tra cui pesce e molluschi, apparecchiature per telecomunicazioni e articoli di abbigliamento. Le aziende italiane che incontrano maggiori problemi di gestione del credito sono le Pmi che – per quanto molto dinamiche e focalizzate sullo sviluppo – non sempre effettuano adeguate valutazioni di rischio; spesso sottovalutano l’importanza di esportare nell’ambito di accordi commerciali strutturati ed elaborati da operatori legali, oppure non dispongono di strumenti di gestione accessibile nel momento della criticità e del mancato pagamento.

“Le principali cause di difficoltà – spiega Paolo Colombari, ceo di Invenium Legaltech, società che ha portato in Italia il servizio “Instant Legaltech & Credit Management” attraverso una web application dedicata al recupero crediti internazionale a servizio di esportatori italiani ed esteri – sono la distanza fisica, le differenze a livello normativo e, purtroppo, la mancanza di preparazione e la frettolosità con cui a volte sono costruiti gli accordi commerciali. Esistono mercati economicamente importanti, ma particolarmente complessi e delicati – come quello asiatico – dove ancor più fondamentale è l’esigenza di una buona gestione del rischio. Esiste la possibilità per le aziende italiane di proteggersi richiedendo pagamenti anticipati, ma spesso non è un’ipotesi percorribile: in questo scenario è determinante utilizzare altri strumenti di tutela non solo legale, ma anche assicurativa e finanziaria. È quindi necessario lo sviluppo di strumenti Legal Tech, Fintech e Insurtech dedicati al settore dell’export.”

Paolo Colombari ceo Invenium Legaltech

“Le aziende italiane – interviene Enrico Giuntelli, general manager di IMBA (Italy Malaysia Business Association) – sono particolarmente apprezzate per le loro eccellenze produttive, e nell’area Asean possono trovare dei partner molto vantaggiosi in termini sia di know-how che di costo del lavoro. Purtroppo, però, se si guarda soprattutto alle Pmi, il numero di aziende italiane che investe in Asia è ancora molto ridotto, soprattutto in confronto alle concorrenti degli altri grandi Paesi europei. Considerando la situazione economica attuale e le previsioni future, che vedono uno spostamento verso oriente del baricentro economico mondiale, è essenziale che anche le Pmi italiane, oltre che stabilire una presenza fissa sul territorio, comincino a valutare e utilizzare in modo diffuso forme avanzate di tutela dei propri rapporti internazionali, anche col supporto delle nuove tecnologie dedicate alla salvaguardia del credito commerciale.”

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