Vendi chi sei prima di vendere ciò che hai

Cosa succede nel momento in cui la comunicazione online diventa dominante?

Nell’articolo precedente abbiamo visto il ruolo della “comunicazione diretta ed indiretta“, ora approfondiremo la comunicazione virtuale, partendo da una domanda: “Cosa succede oggi, momento in cui domina prettamente la comunicazione online?”. È comprovato che abbiamo  cambiato il nostro modo di comunicare, e soprattutto lo viviamo giorno per giorno nel qui ed ora della rincorsa “whatsappiana” che condensa in modo repentino il nostro fluire di pensieri e parole molto spesso “non dette”, ma trascritte nel mix enciclopedico di immagini, audio minimal, riduzioni sintattiche per stare al passo con i tempi e velocizzare/ampliare i nostri contatti alla ricerca dell’iperconnessione costante e quantitativamente elevata che ci permette di allontanare l’ombra inquietante della solitudine.

Che dal punto di vista psicologico questa nuova modalità comunicativa debba essere osservata, compresa e forse modulata con maggiore accortezza lo si sa forse meno, e non ne viene compreso appieno il rischio, in particolar modo nei giovani e di rimbalzo nei genitori che ne seguono a volte passivi le avanzate e le ritirate, il processo comunicativo e relazionale.

La cartina di tornasole che abbiamo tutti i giorni davanti ai nostri occhi, ci viene in qualche modo regalata dagli stessi giovani che dai loro diversi profili social ci mostrano l’andamento esponenziale di un nuovo modo di comunicare con gli altri, nel quale, per orientarsi come in tutte le peregrinazioni, si ha bisogno dell’interpretazione di quanto ci viene mostrato. Nel momento in cui sono nati i social si è aperta la presentazione di noi stessi al mondo, e si sa, gli adolescenti preferiscono in linea e in conformità con l’essenza strutturale del loro processo evolutivo, la strada più veloce, narcisisticamente fondata dalla forma che fa da contenitore ad un contenuto animato e confuso che si preferisce nascondere, celare e tenere sotto chiave agli altri e a volte anche a sé stessi. 

Se da una parte ciò ha permesso a molti giovani di superare timidezze e ansie sociali dando la possibilità di costruirsi avatar simil reali che potessero inizialmente fare da scudo all’impatto fortemente emotivo di sguardi diretti, dall’altra il conformare la comunicazione su binari esclusivi di quanto viene mostrato, bypassando quanto detto e conosciuto nelle interazioni reali, ha prodotto una nuova modalità comunicativa che si è plasmata sul dilemma dell’abito fa, o non fa il monaco.

Come mi presento e quello che traspare nel mio profilo social è il jolly per ottenere consensi, like, nel tentativo di conformarmi a personaggi che hanno raggiunto lo status idealizzato di popolarità, ma nel rovescio della medaglia anche quello che mi provoca delusione ed incrementa il mio livello di incertezza, delusione, ansia, a volte rabbia, invidia, vivendo di un’ identità propria sull’onda della ricerca del consenso degli altri e poco di sé.

Come adulti responsabili non possiamo non vedere, essere ciechi e passivi spettatori, di un processo che sta portando, se non compreso maggiormente e preventivamente arginato, non solo ad etichettare l’epoca in cui viviamo come fortemente narcisistica , ma anche a sviluppare una traiettoria per lo sviluppo di ansia, depressione e fenomeni correlati al benessere psicologico delle nuove generazioni.

Come adulti consapevoli quindi è nostro dovere entrare all’interno di questo nuovo modo di comunicare cercando di fare chiarezza che il pubblico quindi è solo uno dei tanti modi di presentarsi all’altro e che non gode dell’esclusività di una forma che cattura e rapisce giudizi e consensi, senza essere basata, e di conseguenza avere un ritorno, sull’autenticità dello scambio interattivo reale per la quale il nostro parlare, la nostra volontà di comunicazione è nata, vorrebbe e dovrebbe continuare ad esistere.

L’asse della ricerca di una centratura propria viene spostato sull’altro in uno spazio di tutti, dove chiunque può riuscire ad emergere grazie ad una presenza che colleziona apprezzamenti e che mi permette di procedere con altrettanta sicurezza illusoria nel mondo, anche se quel mondo è solo la mia camera. L’asse strutturale della sicurezza di sé si modella sull’appoggio narcisistico del giudizio degli altri.

Si è addirittura provato che il consenso in rete aumenta dal punto di vista neurobiologico il livello di dopamina con le ricadute sinaptiche che si possono avere nel momento in cui la gratificazione viene meno e si brama una dose di like in più, ma quello che il web non può darci, nell’assenza della corporeità, è l’ossitocina, il neurotrasmettitore degli abbracci, primo attivatore e collante naturale del legame tra mamma e bambino al momento della nascita, che ricerchiamo per tutta la vita, soprattutto nei momenti di stress e difficoltà, ben conosciuto e anelato, a volte inconsapevolmente e per strade comportamentali tortuose, da grandi e piccini.

L’abbraccio vero autentico, reale è la miglior garanzia di non rimanere intrappolato in un circuito paradossale nel quale quello che posto rappresenta chi sono davvero.

Cosi  tutti siamo legittimati a controllare a sbirciare, dimenticandoci di altri valori come il rispetto, l’intimità e la privacy (anche se poi la legge tenta di ricordarlo), e favorendo il primato del controllo in rete.

Credo sia giusto fermarci un attimo: riprendiamo in mano la parola, il dialogo i gesti, le condivisioni reali ricordandoci sempre che i social  sono di ausilio alla qualità della vita e che possono agevolare i nostri scambi comunicativi ma non sostituirsi alla comunicazione diretta o indiretta che sia, ma reale fatta di sguardi, parole e azioni condivise che sono la miglior garanzia della strutturazione e centratura del sé e dello scoprire e vivere l’altro nella sua vera essenza.

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