È luogo comune che il settore commercio sia uno dei settori dove è più presente il lavoro irregolare. Abbiamo provato a supportare questa tesi con dei dati e l’esercizio non è facile perché, trattandosi di comportamenti irregolari, la statistica ha le armi un po’ spuntate.
Istat e banca d’Italia in qualche modo provano a venirci in aiuto. L’Istat pubblica ogni tre anni i dati sull’economia non osservata. Sono piuttosto recenti (ottobre 2018) quelli del triennio 2013-2016. Nel 2016 l’istat ha stimato che le unità di lavoro irregolari sono 3 milioni 701 mila, in prevalenza dipendenti (2 milioni 632 mila), in lieve diminuzione rispetto al 2015 (rispettivamente -23 mila e -19 mila unità). Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro (ULA) non regolari sul totale, è pari al 15,6% (-0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente). Il commercio insieme all’agricoltura e al complesso dei servizi è uno dei settori in cui il fenomeno è maggiormente presente.
Anche la recente Relazione annuale della Banca d’Italia ha messo in rilievo la situazione del lavoro irregolare. Rileva la Banca d’Italia che con la crisi è ripreso in questi anni il lavoro nero, anche per un generale effetto di “trascinamento” che ha peggiorato le posizioni lavorative più deboli e meno tutelate. In verità, secondo i ricercatori, la quota di lavoratori irregolari è rimasta la stessa, ma risulta aumentata in percentuale perché nel frattempo è calata la quota di lavoratori regolari. Resta il fatto che l’Italia difficilmente può uscire dalla crisi se non affronta il problema della consistente quota di economia e lavoro sommersi, che non può determinare reali fattori di crescita e che sembra sfuggire ad ogni possibile intervento a favore dell’occupazione e dell’attività di impresa.
Secondo la Banca d’Italia i lavoratori irregolari in Italia sono circa tre milioni, un numero di poco superiore a quello dei disoccupati. La presenza di lavoro sommerso e irregolare, per due terzi, si registra nei servizi, con una particolare incidenza nel commercio, negli alberghi e nei ristoranti: corrisponde al 18 per cento delle persone che operano nel comparto, pari a oltre un milione. Il dato è superiore se si considerano le unità di lavoro, essendo frequenti casi di “doppio lavoro” in nero di persone regolarmente assunte.
Se vogliamo scendere nel particolare della Regione Lazio possiamo far riferimento ai dati della UIL di Roma e del Lazio che nel 2017 ha pubblicato un rapporto molto interessante relativo appunto al settore complessivo dei servizi della regione, contenente anche il commercio. I lavoratori irregolari nella Regione Lazio, secondo la ricerca UIL Roma e Lazio, ammontano complessivamente a 375 mila unità, vale a dire il 13,3% del totale nazionale (oltre 3 milioni di unità), oltre il 90% provengono dal terziario, 333 mila unità. Nel commercio sembra siano presenti 100 mila lavoratori irregolari nel Lazio pari al 17% del totale degli occupati del terziario. Gli occupati irregolari nell’industria e nell’agricoltura sono rispettivamente 31 mila e 8 mila (rispettivamente il 10,1% e il 17,2% del totale degli occupati). A livello dinamico, relativamente al solo settore dei servizi, tra il 2008 e il 2016 si osserva un incremento del numero di lavoratori irregolari (e in nero), che passano da 299 mila a 375 mila unità nel Lazio (da 151 mila a 190 i lavoratori in nero).
Questo dato è particolarmente significativo ed evidenzierebbe come nel Lazio l’utilizzo di manodopera irregolare non sia un fenomeno straordinario cui le imprese fanno ricorso nei periodi di difficoltà per contrarre il costo del lavoro, ma rappresenti una prassi ormai consolidata nel tessuto economico nazionale e regionale.
È chiaro che è sempre difficile valutare un fenomeno sommerso e irregolare però quello che si può dire, dall’esame dei dati disponibili e che abbiamo presentato brevemente, è che il fenomeno nel settore commercio è assolutamente rilevante in Italia ma anche nella Regione Lazio e coinvolge migliaia di persone.
Come Coop siamo convinti da sempre che si tratti di un fenomeno di assoluto rilievo e soprattutto riteniamo che sia molto diffuso il ricorso al lavoro irregolare. Siamo altresì convinti che le aziende che assumono irregolarmente procurino una stortura del mercato riducendo i costi del lavoro in modo illegale potendo così fare prezzi più bassi. Si tratta pertanto di una pratica di concorrenza sleale che va assolutamente combattuta. La legalità è la condizione primaria perché si possa fare impresa nel rispetto della dignità delle persone, purtroppo in Italia non sempre questo avviene.
Attualmente nella Regione Lazio è in discussione il Testo Unico del Commercio; Ancc-Coop, attraverso Legacoop Lazio, ha proposto di inserire nell’articolato una tutela per le aziende che applicano i contratti collettivi nazionali, ritenendo che il rispetto dei contratti nella nostra regione sia un’eccezione. Abbiamo proposto infatti, sul modello della Regione Toscana, di inserire all’interno del testo di legge un articolo specifico relativo al rispetto dei contratti di lavoro per le aziende operanti nel settore. Riteniamo che il T.U. del commercio non possa ignorare questa situazione, anzi sarebbe auspicabile prevedere anche delle “premialità” per le aziende che fanno del rispetto dei diritti dei lavoratori un loro modo di stare sul mercato. A tal proposito riproponiamo la stessa formulazione che la Regione Toscana ha indicato nella proposta di Legge attualmente in discussione in Consiglio Regionale Toscano. Vorremo che fosse inserito all’interno dell’articolo 9 sulla cultura della legalità del TU del commercio la seguente dizione “Nell’esercizio delle attività di cui alla presente legge, si applicano i contratti collettivi di lavoro nazionali del settore di riferimento, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle associazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e gli accordi sindacali di secondo livello, territoriali e aziendali. Inoltre proponiamo di riservare le attività di concertazione del Tu del commercio ai rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali e di quelle sindacali dei lavoratori firmatarie dei contratti collettivi nazionali di lavoro del settore e i rappresentanti di quelle aderenti alle stesse organizzazioni firmatarie”
È chiaro che l’inserimento dell’articolo sul rispetto dei contratti di lavoro nel TU del commercio ha un valore essenzialmente politico ma molto importante perché in qualche modo certifica che nel settore il lavoro irregolare è assolutamente presente e condizionante il mercato stesso.
Come ancc-coop insisteremo perché la Regione Lazio affronti la tematica a partire dal Testo Unico del Commercio. Riteniamo ci sia bisogno di attivare più interventi contemporaneamente. Per prima cosa è necessario aumentare la vigilanza da parte degli organismi pubblici. Sono ancora sporadiche e spesso sempre ai soliti noti le visite ispettive sia sulla regolarità dei contratti, sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e anche sulle condizioni di lavoro e sugli aspetti fiscali. Inoltre associazioni di categoria e organizzazioni sindacali dovrebbero mettere il tema del rispetto dei contratti al primo punto della propria agenda ed affrontarlo in modo unitario condividendo gli obiettivi che teoricamente sembrano gli stessi ma praticamente non vengono perseguiti, perché la piaga del lavoro irregolare, come abbiamo visto, è assolutamente in crescita e non accenna a diminuire, costituendo una vessazione per i lavoratori e configurandosi come una pratica di concorrenza sleale nei confronti delle imprese corrette. Su questo aspetto Coop non ha bisogno di ulteriori certificazioni. Le cooperative tra consumatori coop subiscono il comportamento scorretto di altre aziende che non rispettano i contratti e soprattutto non rispettano la dignità dei lavoratori.
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