Se non vedi i tuoi privilegi sarà faticoso accogliere veramente la diversità e riconoscere l’unicità altrui. Quando mi confronto sui temi del linguaggio e della comunicazione ampia e inclusiva spesso mi sento dire: “nella mia esperienza non è mai successo che…”, “di certo non ne ho bisogno perché le mie intenzioni sono buone…”, “nella mia azienda non capita che…”, “io non discrimino di certo…”.
Lə ho chiamatə ombelicalistə: persone che fanno del proprio ombelico il centro del mondo.
Attenzione, è facilissimo esserlo, io lo sono stata per tantissimo tempo, poi ho capito che ero (e sono) una persona con determinati privilegi e questi privilegi mi rendono più complesso capire bisogni, emozioni, richieste altrui.
Soprattutto quelle che io non ho mai sperimentato. Alcuni dei miei privilegi:
- sono bianca, etero e cisgender
- vivo in Europa, anzi vivo in nord Italia
- ho potuto studiare (lavorando, ma il lavoro c’era)
- ho sempre lavorato, e non è solo questione di merito, qui lavoro ce n’è
L’unico evidente elemento di discriminazione è che sono donna… ma nei miei privilegi c’è la grinta. E quindi sono una professionista discretamente affermata con delle opportunità di sviluppo più che desiderabili, in un contesto affollato e in un mercato turbolento.
Se guardo al mio ombelico potrei affermare che volere è potere, ma so bene che così non è.
I privilegi non sono colpe, sono responsabilità. Fermarsi ad osservarli è necessario per avvicinarsi agli altri in modo consapevole e rispettoso.
Io lo so che sarebbe più bello e semplice continuare per la propria strada, in fondo nessuno di noi ha scelto i propri privilegi, così come nessuno ha scelto le proprie unicità.
Io ho trovato un grande beneficio nell’entrare in contatto con il concetto di privilegio.
Senza falsi buonismi mi ha aiutata a vedere da dove ha origine il mio punto di vista sulle cose e ad accoglierne di diversi dal mio. Anche in assenza di esperienza.
Mi ha permesso di scorgere meglio i miei schemi e pregiudizi (non è possibile non averne) e scegliere come agire. E ancora sbaglio, senza dubbio.
Mi ha resa grata e più connessa alle altre persone, anche qui, è un percorso che non ha una meta. Agire il distacco dal mio ombelico è diventata una pratica quotidiana che mi aiuta a relazionarmi e comunicare con più efficacia.
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