di Giorgio Gandellini
La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo — e spesso prende anche la mira. (Roberto “Freak” Antoni)
Ho messo “casualità” fra parentesi perché mi sembra un termine molto asettico, mentre “culo” rende bene l’idea.
Di questi tempi non è che ci sia tanto da ridere, anzi, dovrei magari cambiare il titolo di questo articolo in “sfiga”, ma proviamo a sdrammatizzare, in attesa di tempi migliori.
Venendo quindi al tema di cui sopra, bisogna proprio che vi riporti, in due puntate per creare un po’ di suspense (v. il prossimo numero di Moondo), la mia fondamentale teoria sulle tre “dimensioni” del culo (in senso matematico) e su come tali dimensioni influenzino pesantemente il successo e il raggiungimento di risultati.
Avevo descritto la teoria in una delle storielle della vecchia edizione di un libro sui fattori che condizionano la performance (Diamonds & chance: come, quando e perché sono stato “copiato” da Michel Porter!) e speravo che nel frattempo qualcun altro contribuisse a migliorarla sistematizzando con opportuni algoritmi l’inserimento della quarta dimensione, cui avevo soltanto accennato di sfuggita.
Vi ripropongo quindi la teoria, e questa volta spero proprio in vostri contributi migliorativi.
UN PO’ DI STORIA
Nel lontano 1988 (proprio in concomitanza con l’inizio del mio incarico quadriennale di docenza in California … bei tempi!), avevo scritto la prima bozza dell’ormai famoso (si fa per dire … mai pubblicato!) booklet “I 77 concetti chiave del marketing e della vita aziendale”, successivamente migliorato e integrato dai miei coautori per poi diventare il libro di cui sopra con 99 concetti.
Lasciamo perdere il fatto che Philip Kotler aveva pensato bene di “copiarmi” scrivendo, quindici anni dopo, “Marketing Insights from A to Z: 80 Concepts Every Manager Needs to Know”, John Wiley & Sons, 2003.
Mica stupido: ne aveva aggiunti 3 per non farsi scoprire! Ma proprio perché era lui, e soprattutto perché lo stupido ero io a non pubblicare mai un tubo in inglese, non gli avevo fatto causa!), e veniamo al dunque.
Uno dei miei concetti “chiave” era, con rispetto parlando, il cosiddetto “culo” (le signore mi perdoneranno il linguaggio leggermente sboccato, ma l’esegesi storica non può arretrare di fronte ai fatti!), che d’ora in poi cercherò il più possibile di chiamare “chance”, sia per non eccedere in scurrilità sia, soprattutto, perché è così che lo chiama un altro esimio e famosissimo guru del management: nientepopodimeno che Michael M. Porter!
Voi non ci crederete, ma anche Michael mi aveva sgangheratamente “copiato” (stesso discorso di cui sopra per quanto riguarda l’adire a vie legali), scrivendo uno dei suoi fondamentali tomi (The Competitive Advantage of Nations, The Free Press, 1990: 738 pagine, appendici escluse!), in cui, come vedremo ben tosto, identificava nel fattore chance una delle principali variabili che possono condizionare il successo, addirittura, delle nazioni!
Data l’evidente importanza del tema, ho pensato di condividere con voi le mie profonde riflessioni su un modello interpretativo sviluppato in anni di studi e ricerche: mi direte voi se valga la pena pubblicarne le conclusioni worldwide (così almeno, se mi copiano ancora, la causa gliela faccio proprio!).
Ma perché — dirà il solito grillo parlante — al posto di “culo” e/o di “chance” non usare il termine italiano “fortuna”? … sarebbe banale e inappropriato, e la ragione vi sarà evidente alla lettura di quanto segue.
IL “DIAMANTE” DI PORTER
Non entrerò nei dettagli, ma è doveroso a questo punto riportare il modello cosiddetto del “diamante” proposto da Michael nel testo appena menzionato per descrivere graficamente i principali fattori che condizionano il successo o l’insuccesso delle nazioni.
Come vedete dalla figura che segue, il fattore chance (ossia, il caso, che può quindi avere impatto favorevole o sfavorevole), che Porter esemplifica citando possibili decisioni politiche di altri Paesi, guerre, cataclismi vari (la pandemia sarebbe stato un esempio calzante), importanti “discontinuities” tecnologiche o finanziarie, ecc. condiziona i quattro fattori strutturali ed “endogeni” descritti nel nucleo centrale del diamante: in particolare, avrete subito capito che, sotto l’etichetta “firm strategy, structure and rivalry”, si nasconde in buona parte l’altro famoso modello di Porter, su cui non mi dilungo.

Noterete anche che, mentre l’altro fattore esogeno rappresentato dall’azione del government è collegato ai fattori strutturali da frecce bidirezionali (vale a dire che vi è influenza reciproca), il fattore chance opera, ovviamente, in un’unica direzione: ossia, non ci sono santi (Porter direbbe “There are no saints!”), non è che si possa intervenire modificandone la natura o il comportamento.
Fra l’altro, nello schema qui sopra manca una freccia tratteggiata aggiuntiva, dato che il fattore chance influenza sicuramente anche il comportamento dei governi, ma Michael può permettersi questo e altro!
Se, comunque, il caso è così importante nella vita delle nazioni e, in particolare, nell’evoluzione dei fattori produttivi, della domanda di mercato e delle aziende, figuriamoci se non lo è nelle vicende degli individui e, in particolare, dei manager!
L’iperboloide del culo: alla ricerca della 4a dimensione!
Nella vita è tutta una questione di culo: o ce l’hai o te lo fanno! (Francesca Reggiani)
Non ho ancora trovato citazioni divertenti che si riferiscano al comportamento manageriale e al suo fondamentale ruolo nelle organizzazioni, ma in questa seconda e ultima puntata della storiella sul “copione” Michael Porter [vedi “Culo (casualità)” nel numero precedente di Moondo] vedremo finalmente le tre “dimensioni” del mio sofisticato modello che cerca di spiegare il comportamento della variabile “culo”, intesa in almeno due accezioni, e vedremo che due di queste dimensioni (per non parlare della quarta, non ancora sufficientemente investigata ma sempre in agguato) si riferiscono proprio alla seconda accezione, in cui il comportamento dei management è fondamentale.
LA PROSPETTIVA INDIVIDUALE E TRIDIMENSIONALE
È proprio con riferimento al management che, modestamente, il modello da me proposto fornisce un contributo che non esiterei a definire essenziale, soprattutto in una prospettiva individuale (peraltro estendibile a livello di aziende e di nazioni), ed è qui che si dimostra come la scelta della terminologia appropriata si riveli indispensabile.
Come ben sapete, il termine “culo”, in italiano, è ricco di svariati e variopinti significati, e proprio grazie a tale eclettismo semantico può essere interpretato in almeno due accezioni e prestarsi a rappresentare, opportunamente contestualizzato, almeno tre dimensioni rilevanti nella vita del manager:
- ce l’ho, ossia, ho più o meno fortuna, sono nato o meno con la camicia, ecc.: questa è sicuramente una variabile indipendente ed esogena, alla stregua del fattore chance di Porter (anche se, volendo guardare, chance ha un significato più neutro: vorrà dire che considereremo la fortuna come estremo positivo di un’unica dimensione, lungo la quale un basso livello di casualità favorevole sarà interpretabile come “sfiga”);
- me lo fo, ossia, mi faccio più o meno un “mazzo” così, insomma mi dò più o meno da fare (lavoro di brutto, mi aggiorno, ecc.): anche questa, nel modello che vi propongo, è una variabile indipendente, con la differenza che è più o meno sotto il nostro controllo;
- lo fo, ossia, ottengo dei risultati, sostanzialmente a scapito dei miei concorrenti: è vero, questa etichetta, che individua la variabile i cui valori dipendono dalle altre, non è molto elegante, ma ammetterete che esprime bene il concetto.
In pratica, potrei rappresentare queste variabili in uno spazio a tre dimensioni con una funzione del tipo Z=XY; ne verrebbe fuori la ben nota (a me e a pochissimi intimi!) “iperboloide del culo”.

Capisco tuttavia la vostra perplessità. Non è facile, così, sui due piedi, interpretare la pregnanza concettuale di tale rappresentazione: mica per niente io ho messo degli anni per arrivare a un simile livello di sintesi!
IN CONCLUSIONE
Proviamo quindi con il grafico che segue, sicuramente più leggibile: le curve di indifferenza rappresentano diversi livelli di risultati (“lo fo”) ottenibili con combinazioni alternative di “ce l’ho” e “me lo fo”.

È chiaro che, se il manager A “non ne ha un granché” ma, per esempio, si deve accontentare di una fortuna media del 40% (asse delle ascisse: intendiamoci, non è poi che sia così male!), per migliorare i propri risultati dal 20 (curva blu) al 25% (curva rossa) deve “farselo” per circa il 60% (asse delle ordinate), mentre un suo collega B molto più fortunato (diciamo, il doppio) potrebbe raggiungere il medesimo livello di risultati lavorando all’incirca la metà.
Scommetto che, intuitivamente, sapevate già benissimo che la vita di tutti noi va esattamente così, ma ammetterete che, messa in modo così rigoroso (altro che Porter che disegna un cerchietto e gli scrive dentro “chance”!), è tutta un’altra cosa: almeno ce ne facciamo una ragione!
Soltanto un piccolo problema: mentre è relativamente agevole misurare gli impieghi di risorse (eufemismo per “me lo fo”) e i risultati ottenuti, non è così banale trovare la cosiddetta “operational definition” (ossia, un criterio e una scala di misurazione) di “ce l’ho”. Ci sto lavorando, ma saranno molto graditi vostri suggerimenti e contributi scientifici.
Non solo, sarebbe interessante esplorare una quarta dimensione, che peraltro potrebbe essere, almeno in parte, inversamente correlata a “me lo fo” … soprattutto se non ce lo facciamo abbastanza: “me lo fanno”!
Ma per questa volta fermiamoci qui, non vorrei suscitare l’invidia di Porter e indurlo a produrre altri modelli per rappresaglia.
Giorgio Gandellini, maniaco di modelli di supporto alle decisioni e Managing Partner di Nestplan International, è l’ideatore, insieme all’Associazione Italiana Sviluppo Marketing, della prima Prassi di Riferimento sull’Orientamento al Mercato delle Organizzazioni: UNI_Pdr 133_2022