di Roberto Protto*
Parliamo della comunicazione delle aziende in tempi di crisi. Qual è il corretto modo di comunicare? Propongo alcune riflessioni su un argomento che è molto contraddittorio, senza peraltro indicare le soluzioni. La risposta alle problematiche sollevate spetterà agli esperti di comunicazione; in questa sede, a me spetta il compito di evidenziare la questione. Le imprese si reggono sulla fiducia dell’ambiente circostante: dipendenti, operatori finanziari, fornitori, clienti e mercato più in generale.
La crisi dell’impresa tende invece a minare la fiducia di tutti: non si è più sicuri del posto di lavoro, i dipendenti più competenti si dimettono per collocarsi in aziende concorrenti o altrove, i pagamenti tardano ad arrivare e quindi i fornitori rallentano le consegne delle merci e dei servizi, gli Istituti Finanziari restringono il credito. Si instaura un clima di insicurezza ed instabilità ed i clienti iniziano a rivolgersi ad altri fornitori per poter garantire servizio ed efficienza al proprio mercato.
Anche nel quotidiano, ognuno di noi evita di frequentare luoghi che, per sentito dire, “non girano bene”. Si innesca subito un sentimento di diffidenza e scetticismo, si cerca immediatamente un’alternativa.
La comunicazione assume allora un ruolo essenziale. Intanto non è solo composta da eventi pubblicitari o da iniziative di marketing, ma soprattutto dagli atteggiamenti che i gestori dell’impresa assumono.
Qui sta il punto che poi influenzerà anche le scelte di come e cosa comunicare: quale atteggiamento adottare?
La questione è molto controversa, addirittura contraddittoria.
Molti imprenditori negano l’esistenza della crisi, anche a se stessi, ma questo è un altro problema.
Negare di essere in crisi quando si hanno colloqui interpersonali con gli stakeholder, può sembrare rassicurante, “io ho tutto sotto controllo, sono perfettamente in grado di governare gli eventi, di me si dicono falsità”, a volte invece può peggiorare la situazione. “Questo non si rende nemmeno conto in quale situazione si trova”, oppure “se nega l’evidenza vuol dire che la situazione può addirittura essere peggiore”. Al tempo stesso alimentare un clima di profondo pessimismo che già si è radicato nell’ambiente dell’impresa in difficoltà, può causare un danno ancora maggiore.
Va raggiunto un difficile punto di equilibrio.
La crisi dell’impresa e la comunicazione ha inoltre un risvolto giuridico: infatti l’articolo 2621 del codice civile vieta e punisce le “false comunicazioni sociali”. Se nei documenti ufficiali scrivo e quindi comunico a terzi che l’impresa è solida quando invece è in crisi, li traggo in inganno e quindi commetto un reato.
Il Codice Civile stesso regolamenta la materia.
Gli interventi per risanare un’impresa in crisi, peraltro regolamentati dalle procedure minori (articoli 67, 182 bis della legge fallimentare) o dal concordato, incidono principalmente sulla ristrutturazione del debito.
L’equilibrio va trovato qui: da una parte debbo dire ai creditori che qualora non accettassero forti riduzioni del loro credito, si ritroverebbero a perdere tutto, perché l’impresa non sarebbe più in grado di rimborsare integralmente, ma dall’altra debbo comunicare che la possibilità del rilancio è molto elevata.
Comunicare troppo ottimismo potrebbe essere percepito come “fittizio”, trasmettere un eccessivo pessimismo potrebbe minare definitivamente la fiducia degli stakeholder e del mercato. Inoltre si deve evitare di far pensare al creditore “ti rilanci e torni a guadagnare grazie ai miei sacrifici”.
La prima economia viene sempre attuata nell’area marketing.
C’è quasi un pudore ambientale; si tratta di prevenire la critica “non mi pagano e poi fanno pubblicità per farsi belli”.
Però il tema è già stato posto da Henri Ford quasi cento anni fa: “smettere di fare pubblicità per risparmiare soldi è come fermare l’orologio per risparmiare tempo”.
Compito degli esperti in materia di comunicazione è pertanto quello di individuare messaggi che rendano l’idea che la situazione non è florida ma che allo stesso tempo una soluzione può essere trovata.
Di seguito mi permetto di riportare un esempio chiaro di come la comunicazione non sia stata gestita in maniera efficiente, il caso Alitalia.
Al netto delle ovvie speculazioni politiche che hanno orientato gli interventi giornalistici delle testate schierate, la comunicazione dell’azienda negli ultimi anni è stata disastrosa.
Le poche campagne pubblicitarie lanciate nell’ultimo periodo presentavano una compagnia aerea organizzata e strutturata, che operava in una situazione quasi idilliaca e soprattutto in netto contrasto con quanto raccontato quotidianamente dai media.
Infatti la clientela ha progressivamente associato l’azienda ad uno sperpero di denaro pubblico, amministratori incompetenti e inconcludenti, esubero di personale e via dicendo.
In un settore dove sicurezza e puntualità del servizio sono ovviamente fondamentali tutto ciò ha causato un enorme danno all’ immagine senza tralasciare la parte economica.
La teoria del “non si sa mai” ha iniziato a prendere piede e come tanti io stesso ho spontaneamente prenotato i miei voli, ove possibile, con altre compagnie.
Poco credibile appare ai miei occhi di inesperto, anche la campagna di lancio del marchio Ita Airways: “sarebbe sbagliato rinunciare a tutte le amicizie perché una è andata male”, non riflette propriamente la situazione.
In questo caso, tra ricapitalizzazioni effettuate con denaro pubblico, cambi di governance, vendite fallite e capitani coraggiosi, le amicizie andate a male sono molte più di una.
Ho evidenziato un problema, fortunatamente non sta a me trovare la soluzione.
* Roberto Protto – Penso che ogni imprenditore e manager dovrebbe appassionarsi alla letteratura, perché in ogni buon romanzo ci sono le chiavi di lettura e di soluzione a molti problemi quotidiani, anche aziendali. Amo l’arte e viaggiare “fuori rotta”.
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